Forse non tutti sanno che il Friuli è un territorio ricchissimo, di qualcosa di più autentico del petrolio, del rame o del cobalto. Queste sono materie prime “indispensabili” ma potrebbero non esserlo per sempre, soprattutto nel caso del petrolio, ci auguriamo. Le storie che nascono dalle tradizioni, che si intrecciano a creare le vesti colorate e luminose della Storia, sono invece un bisogno eterno, sono il cibo che alimenta le menti e i cuori, sono la via per ritrovarci, oltre la mancanza di significato che si presume dovremmo riempire solo di distrazioni.

Talvolta abbiamo più bisogno di una storia che di cibo

Detto yiddish

Sia detto per inciso che in Friuli non manca il buon cibo, soprattutto dopo aver lasciato alle spalle le miserie dell’800 e del primo ‘900, quando questa regione era non molto diversa da quelle del Meridione che si tende a volte a disprezzare. È terra di vini riconosciuti ben oltre i suoi confini, è fatta di montagne e di valli che sanno conservare ed innovare il saper fare contadino, è animata da aziende, osterie e ristoranti che sanno riproporre i contenuti dei territori marginali, che resistono orgogliosamente alle logiche illogiche che livellano.

Oltre il cibo per lo stomaco c’è qui però anche quello per la mente. È un alimento raffinato, spesso dimenticato tra i capannoni e i cementi che hanno invaso negli ultimi anni l’immaginario del Friuli. Sono gusti e sapori che non parlano solo dei tempi andati, in cui la cultura contadina sopravviveva alle vessazioni dei dominanti di turno (veneziani, austriaci ed ebbene si anche degli italiani, non quelli che siamo diventati, ma i poteri lontani che hanno spesso trattato questa terra come periferia da abbandonare o da difendere oltre modo, da temute invasioni dell’Est).

Le storie che qui voglio solo evocare brevemente sono pietanze nobili, nell’accezione di spirito più che di rango sociale, che non vogliono stabilire un’identità chiusa e ostile, come va di moda in questi tempi incerti ma anzi, si espandono come aromi succulenti, abbracciando il Mediterraneo, di cui l’Adriatico è l’estremo lembo settentrionale e il tanto temuto Oriente, che non portava solo scorrerie di Ungari, Turchi e Comunisti ma soprattutto contaminazioni del ricco mondo slavo.

 Forse non tutti sanno che in Friuli, Friuli Venezia Giulia, Aquileia

La basilica di Aquileia, con il più grande mosaico a pavimento del cristianesimo occidentale

“Forse non tutti sanno che in Friuli…” è un libro di Angelo Floramo, che ho letto e fatto mio, alla fine dell’estate, portandolo con me tra rifugi di montagna e spiagge, nei territori di confine di questa regione in cui sono nato e che pian piano sto scoprendo dopo anni di fascinazione del mondo “esotico”.

In questo saggio, a volte romanzo, a volte guida di viaggio, c’è la storia poco conosciuta della Chiesa di Aquileia, dei pastori nomadi delle steppe asiatiche giunti fin qui nell’Eta del Bronzo riempiendo di tumuli funerari anche i borghi della Pedemontana. 

C’è la storia di donne illustri, spesso dimenticate dalla storia maschia, quella dei prodotti essenziali, in quanto parte dell’essenza del Friuli, come il vino, il mais ma anche il tabacco, contrabbandato per sostenere l’economia di sussistenza del passato. 

C’è qui la storia delle cose ma anche delle fantasie, spesso reali, dei Benandanti, sorta di sciamani protettori della fecondità della Natura, o delle agane, creature delle acque che in questa regione scorrono in numerosi torrenti. C’è anche l’eco, funesto e tremendo, ma anche occasione di rinascita, dei terremoti che han sempre squassato le terre friulane.

C’è anche la storia recente che parla di un popolo dai molti strati e dai diversi accenti, che ha attraversato il ‘900 con le sue speranze ed illusioni, che ora si trova davanti alle immense sfide del XXI secolo e che cerca, esempio ne è questo libro, di riscoprirsi, di non darsi per vinto al peggiore dei conquistatori, quello senza volto di un’economia che richiede sacrifici continui di vite, sugli altari della frenesia lavorativa, della salute a rischio, dei mutamenti ambientali e peggio ancora, dell’omologazione.

Tu che mi segui da poco o già da tempo, sai che le storie non sono solo intramezzi tra un momento e l’altro, nell’attesa di un treno, di un appuntamento di lavoro o di piacere, sono gli elementi che fissano come il vino le qualità della terra, sono gli ingredienti che sanno del sole e della pioggia delle stagioni, ma anche delle mani che li hanno mescolati. Le storie sono il cibo che non riempie lo stomaco per farci andare avanti un altro giorno, in una corsa ad ostacoli senza senso, sono nutrimento che dona salute e benessere, del corpo e dello spirito.

Forse non tutti sanno che in Friuli, Friuli Venezia Giulia, ponte di Pizano

Aghe e claps, acqua e sassi. Fiume Tagliamento, presso Pinzano

Il libro di Angelo Floramo può essere la guida di viaggio, per gli ospiti di una gente unica, non quella che echeggiava in uno slogan un po’ infelice di qualche anno, che cercava di vendere il Friuli Venezia Giulia come destinazione turistica.

L’unicità è ben oltre il marketing effimero e sbrigativo, è nelle radici di un popolo, sparse per mezz’Europa, Asia e anche Africa, senza contare i viaggi di dovere dei migranti che si sono spinti fino in Siberia e in Australia. Una guida di viaggio per noi abitanti, spesso dimentichi del passato e lamentosi del presente, per riconoscere la ricchezza che è sotto i nostri piedi, quella vera, autentica e sostanziale che una volta fatta nostra, può aprire le porte al viandante del terzo millennio, in cerca di significati, di valori, di storie a lieto fine.

 

“Un popul nol mûr cuant che al à fan,

ma cuant che al è masse passût.”

“Un popolo non muore quando ha fame,

Ma quando è troppo pieno”

Pre Checo Placerean