Ogni tanto basta partire, non importa dove, purché si vada lontano dagli orizzonti di ogni giorno e non serve sorvolare l’oceano, basta seguire piccole strade, che sinuose corrono lungo i monti trascurati. Basta andare laddove ci si dimentica di andare perché “tanto è vicino a casa“. Basta aprire un po’ gli occhi, le orecchie e il desiderio mai sopito di bellezza. Basta aprire la porta di casa, come ho fatto io un pomeriggio di fine inverno, seguendo l’invito di Pordenonelegge a scoprire le storie di due valli del Friuli occidentale, in Val d’Arzino e Val Cosa.

Aprire una porta sul passato per ascoltare il presente. Vecchie pietre, sentieri abbandonati, borghi senza più anime ma solo con brutte case del brutto passato prossimo. Quanti di questi luoghi comuni sopravvivono dietro le nostre città? E se potessimo ascoltare una storia diversa, se avessimo a disposizione dei cantastorie che sappiano ricucire i fili, fino a portarci nella meraviglia? Forse troveremo altri sentieri, altre pietre, altri luoghi, degni di essere rivissuti ed amati, per offrirli al viaggiatore consapevole.

Castello Ceconi, genio e bellezza in Val d’Arzino

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Scosto il viso dal telefono, il grigio del cielo lascia spazio alle rocce e ai boschi ancora assopiti, la pianura è scomparsa, così le traettorie percorse in auto che racchiudono i soliti posti. Qui no, c’è qualcosa di nuovo. Sono forse dieci anni che non vengo in questa valle famosa ormai oltre regione per le acque del suo torrente, l’Arzino, decantate dal Financial Times.

Val d’Arzino e Val Cosa sono le ultime valli prima del Tagliamento, territori che sembrano dormire come i loro boschi e che all’apparenza, almeno di chi come me ci abita vicino, sembrano non dover raccontare nulla, seguendo il silenzio dei loro abitanti. Oltre ad aprire gli occhi e lasciarsi sorprendere dalla voce muta della natura, qui è necessario anche saper ascoltare le persone giuste, quelle che amano la terra e il suo passato, che lo sanno accendere e mantenere vivo grazie alle storie.

Potresti arrivare in queste valli magari per caso, magari inseguendo un articolo popolare e trovarti nel pieno di un inverno, di quelli che come certe persone, non riesci a scrollarti di dosso, tra borghi che hanno perso le loro case costruite con pazienza pietra su pietra e ora esibiscono il cemento del passato prossimo, veloce, funzionale e brutto. Potresti trovare ristoranti e portoni chiusi, come gli sguardi dei rari passanti ma se ti aprissero le porte di un castello e vi trovassi dentro qualcuno capace di raccontare, sarebbe diverso.

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Castello Ceconi colpisce, ammalia, suscita subito domande che hanno trovato molte risposte grazie al sindaco di Vito d’Asio. Con passione ed accuratezza ci ha raccontato la sua storia e quella del suo costruttore, Giacomo Ceconi straordinario imprenditore originario di questa valle, che seppe costruire ponti, gallerie e strade nel vecchio impero asburgico, con soluzioni all’avanguardia, favorendo anche il benessere dei lavoratori.

Il castello, in stile neogotico e anche un po’ liberty, circondato da un bosco dove Ceconi fece piantumare quasi due milioni di piante, mantenute e curate anche dai suoi eredi, appare come un faro proiettato sui monti della vicina Carnia, opera archiettornica attenta alle mode di fine ‘800, quasi assurda in una valle che sembra così lontana dal mondo.

Le apparenze del presente sono però smentite dalle storie che ho ascoltato. Val d’Arzino e Val Cosa, che oggi invitano il viaggiatore amante del silenzio, fino a poco tempo fa erano centro e non periferia, erano crocevia e non passaggio.

Clauzetto, l’antica storia nascosta dietro casa

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Nome quasi indefinito, paesi di borgate disperse, monti che iniziano laddove finiscono le colline, la Val Cosa appare anonima, appena tratteggiata. Potrebbe facilmente sfuggire al turista. Qui ci devi venire apposta.

Non è la prima volta che salgo dalla pianura lungo strade deserte accanto ai faggi che nascondono la storia. Sono già stato qui in estate e in autunno quando i boschi si vestono di rosso e di oro. Non avevo però mai sentito parlare dei principi pastori e degli Esseni, popolazioni e persone che rasentano il mito e che sono passate di qui.

Per fortuna, il grigiore che ci segue tra le curve e il silenzio in questa gita in Val d’Arzino e Val Cosa è di colpo illuminato dal potere della narrazione. Per rallentare e ritrovare una magia perduta basta davvero sedersi ed ascoltare.

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Angelo Floramo, di cui avevo appena finito di leggere una sorta di diario di viaggio in Friuli ed oltre, mi sveglia dal torpore del dopo pranzo sempre in agguato, liberando questa valle dallo stato di abbandono che purtroppo la assale da qualche decennio, ricordando la storia dimenticata, forse nemmeno conosciuta da molti dei suoi abitanti.

Si spalancano allora varchi che corrono verso le steppe asiatiche abitate da principi pastori che migliaia di anni fa percorsero il Friuli e si fecero inumare poco lontano da qui. Si spalancano finestre che portano il suono dell’Oriente, del Mediterraneo e di una spiritualità esoterica ma anche terrena, legata fortemente alle acque, qua così abbondanti.

Di colpo, la Val d’Arzino e la Val Cosa cessano di essere avamposti delle terre abbandonate dall’essere umano in fuga verso le luci delle industrie e delle città, si scrollano di dosso la tristezza dei borghi che non hanno più autostima, persa in mille emigrati altrove. Qui è allora passata la storia, i guaritori dalla Palestina in cerca di scampo e di torrenti, qui è arrivata una delle reliquie più sante, il sangue di Cristo, qui si facevano esorcisimi, qui S.Vito si lega al culto solare degli antichi Slavi, da qui fino alla Siberia.

Floramo racconta e noi ci perdiamo nelle parole, senza addormentarci ma riprendendo coscienza della porzione di straordinario che spetta anche a noi, abitanti di una regione che pochi sentono il bisogno di visitare, prima di tutto noi che ci viviamo.

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Le parole riescono a coprire anche il suono della pioggia che ci accompagna fino alle soglie della chiesa di San Giacomo, un tempo non lontano sede di pellegrinaggio e di esorcismi, dove si conserva la preziosa reliquia arrivata da Bisanzio. E poi fino nel bosco di Clauzetto, verso l’ultima storia di oggi, tesoro nascosto in Val d’Arzino e Val Cosa, nella pieve di San Martino.

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Rientrando mi stacco dal gruppo. Cammino riascoltando tra me alcune parole, cercando di seguirne il percorso che porterà a libri da leggere ed altre conferenze, un viaggio di conoscenza appena iniziato. Nel bosco che molto lentamente si scrolla di dosso le coltri dell’inverno macchiandosi di primule e di gemme testarde, sento la felicità delle scoperte, del tesoro intravisto, tra le pieghe del quotidiano, quell’oro nascosto capace di fugare le ombre di un presente a volte così tanto realista da essersi perso nelle strade d’asfalto veloce, tra edifici di vetro e cemento. Le storie hanno il potere di segnare nuove vie, che conducono alla magia della nostra umanità.