La magia della neve. Il candore, i riflessi di luce, i rumore ovattati, una mano di bianco sul mondo, tutti noi riconosciamo d’istinto la magia di questo elemento, ma la sua conoscenza approfondita ci permette di non darla per scontata, di apprezzarne di più la ricchezza. Perché esistono tanti tipi di neve, quando si formano nel cielo e poi quando si depositano in terra. Questo il tema di una ciaspolata in Friuli, nel cuore del Parco Naturale Dolomiti Friulane.

Una ciaspolata in Friuli, nel Parco delle Dolomiti Friulane

Svegliarsi presto, prima ancora del giorno, percorrere chilometri e poi salire con fatica. Spesso mi son chiesto perché andare in montagna, perché voler arrivare là in alto. I boschi, il silenzio, sentire il corpo che supera dei limiti spesso immaginari, ma soprattutto la luce. C’è un’altitudine dell’anima, laddove la luce del mondo è pulita, piena di riflessi che attraverso i nostri occhi, fanno brillare anche noi. Ecco, si va in alto, in montagna, alla ricerca della luce pura, che sappiamo brillare in noi.

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Il primissimo mattino mentre l’alba colorava di rosa la Val Cellina, nel silenzio e nella quieta assoluta dei monti d’inverno mi sono aggregato ad un gruppo di escursionisti, che ciaspole ai piedi si è messo in marcia fino al Rifugio Pradut, sopra il paese di Claut.
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Lentamente siamo saliti, accompagnati dal bosco di faggio, tra gli alberi sopravvissuti alla tempesta Vaia del 2018. Il sole si alzava sopra la montagna, riempiendo di riflessi dorati la neve che ricopriva quelle ferite. Mi piace pensare che in fondo, il ruolo della neve è proprio quello di ricoprire di bianco il mondo, riportando bellezza e magia laddove qualcosa si è rotto.
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Di solito non c’è molto spazio per i pensieri, il paesaggio e la fatica del salire ti portano a concentrarti sul momento presente. L’aria pulita delle montagne, quelle friulane in particolare così lontane da grandi centri, fuori dai circuiti turistici, è un balsamo che metro dopo metro fa il suo effetto. Ogni tanto ci fermiamo ad aspettare chi se la prende più comoda o per ascoltare la nostra guida raccontarci qualche aneddoto sui luoghi. Non c’è fretta, non c’è bisogno di essere altrove con la testa proiettati in mille impegni. E questo è già un regalo che facciamo a noi stessi. Intanto il bosco si dirada e ci permette di vedere le cime dolomitiche.
 Dolomiti Friulane, Duranno
Il sole d’inverno, luminoso e portatore di calore nell’ombra del bosco, brillante sulla neve caduta da poco, ha raggiunto il punto più alto, quasi ad indicarci la nostra meta, il rifugio Pradut, l’unico aperto nella stagione invernale. La promessa di un piatto caldo, coi sapori della tradizione, e di un panorama vasto, ci permette di affrontare l’ultima salita, che quasi sempre è la più ripida, come se per arrivare al tesoro dovessimo affrontare la sfida più importante.
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Il bello di una ciaspolata in Friuli, di una certa fatica, come un premio, è arrivare in un luogo dove poter mangiare il cibo saporito e forte della montagna, dove non manca mai il frico, piatto di formaggio fuso e patate, che sa far innamorare ogni visitatore della nostra regione.
Una struttura moderna con una terrazza dove il sole permette di stare anche senza giacca ci accoglie e ci sfama. Una volta usciti lo sguardo è libero di perdersi, tra le cime delle Dolomiti Friulane, così poco conosciute ancora, di seguire la valle dove è cresciuto nei secoli il paese di Claut e incontrare la Val Cellina, che a Cimolais termina. Dopo, invisibili per noi, ci saranno Ero e Casso, e la diga del Vajont, ferita delle nostre montagne che continua a parlare a distanza di decenni.
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In un prato bianco, Antonio, la nostra guida, ci fa mettere in cerchio e ci insegna un po’ cosa sia la neve e quali rischi possa creare quando si fa valanga. Non è un rischio che possa cogliere noi, escursionisti su sentieri battuti e sicuri, in una ciaspolata in Friuli in pieno inverno. La curiosità è più che altro rivolta ad un elemento, l’acqua, che sa assumere forme innumerevoli, cristalli e composizioni, che può trasformare il paesaggio, e che l’essere umano deve imparare a trattare con rispetto.
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Prima che il pomeriggio si faccia velocemente sera, come avviene d’inverno, abbiamo cominciato a scendere verso valle. E come spesso succede, il ritorno è sempre diverso dall’andata, perché la discesa richiede altre attenzioni, ma soprattutto perché la luce muta i contorni, ridefinisce il panorama, trasforma le cose che al mattino si vedono con altri occhi. C’è sempre un momento, perfetto nell’istante in cui ti fermi e cogli le luci, le ombre, il paesaggio aprirsi, la giornata chiudersi. Scendere è ritornare a casa, lasciare un nuovo angolo di mondo appena scoperto e fare il possibile per metterlo via, per avvolgerlo con delicatezza in un angolo della memoria, per farlo diventare un altro pezzo di pianeta e di vita da conservare, magari per regalarlo a qualcun altro.
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