Cercare di spiegare Venezia è un’impresa sovrumana, così tanti racconti in secoli di storia, così tante deviazioni impongono i passi, seguendo tortuose calli e fili invisibili che legano queste isole a tutto ciò che c’è oltre l’Oriente vicino ed anche un po’ più in là. Impresa sovrumana perché qui non ci sono solo nobili pietre e grandiosi passati ma terra e acqua viva che fanno e rifanno il mondo fuori dall’ordinario in cui sono immerse le opere dell’uomo, che attirano qui milioni di persone ogni anno. Eppure esiste qualcosa, che si racconta, che parla al viaggiatore più consapevole, una Venezia non turistica, un’isola quieta.

I numeri dovrebbero essere più precisi delle parole, dovrebbero essere capaci di dare indicazioni, suggerire percorsi e farci sfuggire da quella indeterminatezza, quel senso di spaesamento che ci coglie appena giunti a Venezia.

Eccoli i numeri raccontare di orde di persone che da ogni angolo del mondo prendono d’assalto Rialto, piazza San Macro e tutte le calli lì attorno, 30 milioni di nuovi barbari che riescono laddove Attila non potè: assediare con il rumore e il consumo veloce fragili equilibri millenari. Un turismo insostenibile sembra divorare ogni cosa, ogni possibilità di fuga.

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Il Sestiere di Castello, il più popolare, forse il più nascosto

Con i numeri non mi metto a discutere. Con le immagini, le evocazioni e lo spaesamento invece amo intavolare lunghi discorsi senza parole. Perché qui a Venezia non vengo tanto per avere ragione o torto ma per perdermi nel suo labirinto, dove non ci si perde mai davvero.

Una Venezia non turistica esiste. Isole di silenzio appena interrotte da una battuta in dialetto veneziano o dalle onde increspate di una barca che trasporta merci per chi la vive ancora, ecco cosa mi raccontano le immagini che mi si fanno incontro appena giro l’angolo e abbandono Strada Nuova o fuggo dal formicolare attorno a Rialto e San Marco.

Non serve nemmeno scomparire negli angoli più remoti, basta veramente spostarsi di qualche metro ed ecco comparire una Venezia normale per quanto possa mai esserlo, una città che è solo un angolo di Mediterraneo, amalgama caotico di case, barche, odori e sensazioni che portano lontano dal mondo moderno standardizzato.

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Appena al di là di Rialto, appena la di là del turismo di massa

La Venezia non turistica è molto di più che una passeggiata senza il frastuono di chi non riesce mai a stare in silenzio e godersi il mondo attorno a sé, è molto di più che poter respirare senza venir urtati da chi usa i monumenti per celebrare il proprio ego attraverso un selfie.

La Venezia non turistica è un viaggio nello spazio e nel tempo, alla ricerca di un mondo senza confini, che parla il greco, il turco, l’arabo dalle mille sfumature, il francese, lo spagnolo e decine di altre lingue che magari non sono mai state riconosciute tali e che pure i propri popoli parlano.

Perché quando ci si prende il lusso di fare una scelta, smettendo di seguire le masse per paura di smarrirsi, quando ci si informa o ci si affida a qualcuno che sa, Venezia appare. E non è più la Disneyland dell’Adriatico, la notizia che fa rumore di giovani che si tuffano nei canali, di bivacchi improvvisati sugli scalini di palazzi rinascimentali, è Venezia, insieme di isole che sa di Mediterraneo, infinite storie legate le une con le altre, che partono e arrivano, toccando gli altri porti di questo mare, immenso nella sua diversità.

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Un chiostro dove ogni rumore si fa vano e rimane l’essenziale

Anche questa volta, Venezia, io non ti ho spiegato. Ho solo mostrato che basta uscire dai soliti percorsi, allontanarsi dalle solite notizie, per ritrovarti.

E tu lettore, sforzati di scegliere, di informarti, perché il turismo di massa sta da tempo ferendo questo mondo fuori dal mondo, che va non solo preservato ma reso vivo, perché abbiamo bisogno di perderci ogni tanto, abbiamo bisogno di non vedere automobili quando camminiamo, di starcene in pace a fissare i riflessi del sole che chiazzano l’acqua, che risplendono su muro antico.

Una Venezia non turistica è reale. Non significa cacciare tutti e chiudersi al mondo, significa diventare consapevoli e rallentare, aspirando ad un turismo lento ed attento al nostro bisogno di quiete.