Alcuni luoghi rimangono incastrati da qualche parte, suggerimenti sospesi che non si dimenticano mai davvero che però subiscono quell’ingiustizia che noi italiani conosciamo bene: finché ti trovi vicino a casa potrò vederti quando ho voglia. Ci sono invece spiagge con le palme da cocco, templi e spezie che sembra di dover scoprire ora o mai più. I luoghi dietro casa scivolano così alla fine di una lista infinita di destinazioni che sembrano poter soddisfare il nostro bisogno di fuga dal quotidiano. Il lago di Sorapis, povero, è nelle Dolomiti del Cadore, a qualche ora di macchina da casa, lungo strade già percorse nelle gite domenicali dell’infanzia, nulla di nuovo, all’apparenza.

Due anni fa me ne aveva parlato un’esperta di immagine e di armonia dei colori, mentre immaginavamo assieme un progetto su dei viaggi che avessero come destinazione proprio dei “luoghi colorati”. “Devi assolutamente andarci, il lago di Sorapis ha un colore particolare!” Le sue parole si insinuarono dentro, scavando una traccia nel libro nascosto dei desideri, richiuso velocemente dall’incombenze della vita, che dei colori, dei viaggi e della bellezza sono spesso ignare.

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Il turchese e il verde ancora fresco delle prime foglie

Era ora di riaprirla quella pagina, di andarla a sfogliare per prenderne lo stimolo, a superare certe piccole ma insidiose resistenze. Una domenica di inizio giugno, dopo esserci accertati che il tempo avrebbe retto fino al pomeriggio, io e la mia compagna abbiamo deciso di abbandonare la pianura e di salire, piano piano, oltre le montagne dietro casa, verso il Cadore.

Il lago di Sorapis è facile da raggiungere, non dista molto dalla famosa Cortina d’Ampezzo. Il sentiero che porta fino allo specchio d’acqua glaciale parte dal Passo Tre Croci, te ne accorgi subito perché comincerai a notare diverse macchine parcheggiate lungo la strada. A noi è bastato chiedere ad una coppia di ragazzi per sincerarci di essere arrivati nel posto giusto, evitando di ricorrere al navigatore. Un cancello di legno indica l’inizio del percorso, segnato da un cartello esplicativo. Difficile perdersi insomma, anche perché questa è una meta per migliaia di persone ogni anno.

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Il Cadore che scivola tra nubi e boschi

Questo è l’aspetto che si nota subito, decine di persone che incrociavamo nel sentiero, molti stranieri, moltissimi ragazzi attorno ai 20 anni. Due ore di camminata, non impegnativa per chi ha un minimo di allenamento, rendono questo lago dalle acque turchesi un’attrattiva famosa. Per questo ne scrivo, non per voler aggiungere altre informazioni rispetto a tutte quelle che puoi trovare in rete, pagine e siti che sono più bravi di me a dare indicazioni precise e dettagliate. Questo umile spazio digitale non nasce per dirti cosa vedere ma racconta, evoca, dipinge.

Evoco allora il sentiero, che si fa subito bosco di conifere con il profumo di resina liberato dai raggi del primo sole che risplende tra gli aghi, il silenzio del primo tratto quando ancora ci sono poche persone, gli scorci della valle immensa sotto di noi, il cielo azzurro terso e libero, la cima del Cristallo che si alza improvvisa dai boschi verdi come una lama di pietra grigia e rossa. L’inizio della camminata verso il lago di Sorapis è un momento intimo di rigenerazione, simile ma sempre differente in ogni approccio alla montagna, con l’aria che senti diversa, più fine e più pura, con quelle sensazioni inesplicabili che ti portano via dalla città e dalle incombenze del mondo.

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Un cristallo di pietra

Quello è stato il momento forse più ricco per me che amo la montagna solitaria, che la incontro non tanto per “vedere qualcosa di nuovo” ma per cercare di vivere in modo diverso, più consapevole.

Lentamente il sentiero si è fatto strada, di gruppi di amici, di coppie, di curiosi che non hanno nessuna colpa, perché in fondo a tutti piace vedere dei luoghi ricchi di fascino. Non molto distante da qui succede la stessa cosa nella Val di Fassa, circondata anch’essa da Dolomiti che giustamente chiunque desidera vedere.

Il mio animo solitario, schivo e a volte un po’ presuntuoso, ama i luoghi defilati, reconditi, le spiagge d’autunno e d’inizio primavera, come quelle che si affacciano nel Delta del Po, oppure le valli magnifiche ma abbandonate dal turismo di massa, come le Dolomiti Friulane. Il lago di Sorapis, inutile negarlo, è tanto bello, quanto frequentato.

Come ha scritto un amico in un commento ad una foto che ho postato su Instagram: “peccato la coda di gente per tutto il sentiero e la esagerazione di selfiesti a bordo lago”. Non posso dargli torto. Come non posso non far finta di aver visto alcune persone bagnarsi nel lago, pur sempre uno specchio d’acqua puro, ricco di microrganismi delicati, che rischia di essere contaminato dalle nostre creme solari, spesso non sostenibili, e dal nostro sudore. Non posso non considerare poi le tante persone che salivano nonostante l’evidente addensarsi di nuvole nere, foriere di temporali, col rischio di trovarsi sotto piogge torrenziali e fulmini ad alta quota. Non posso certo fare il maestro, sono anch’io un novizio della montagna, ma un po’ per timore, un po’ per rispetto, mi affido a chi conosce meglio le insidie dei monti, come la mia compagna, che da sempre mi esorta a partire presto il mattino, per evitare la pioggia rovinosa del pomeriggio.

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Nuvole pomeridiane, sulle 3 Cime in lontananza

Il lago di Sorapis va allora lasciato stare in cerca di altre silenziose meraviglie sparse tra le montagne più defilate? Non credo mi ascolteresti e non è questo il mio obiettivo. Qui tocco corde, sottili ma resistenti, inneggio e stimolo alla bellezza, ed il lago di Sorapis ne ha molta. Il mio modesto compito è casomai quello di darti un consiglio: cercalo al mattino presto prima dei possibili temporali estivi, prima della folla per sua natura rumorosa, magari prima del fine settimana.

Per il resto, vai, visita, esplora e viaggia. Non credo si possa fermare il turismo, bloccare porte, costruire muri. Forse si possono circoscrivere le destinazioni con numeri di accesso ma credo che la misura più efficace sia l’educazione, instillare lentamente ed in modo costante l’attenzione: educare se stessi al rispetto, alla sacralità dei luoghi, che non sono lì per il nostro diletto e il nostro egoismo digitale ma per essere nodi delle trame infinite della vita, angoli di mondo che svolgono funzioni delicate e complesse, che possono mutare, come tutto cambia, ma che possono e devono essere vissute ancora a lungo da altre generazioni.

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