Si ripercorrono davvero le stesse strade? Si passa davvero  per gli stessi luoghi? Stavo andando a Caorle, per parlare di narrazione ad un corso rivolto ad imprenditori del turismo. Sono riuscito per un attimo ad andare oltre l’ansia del momento gettando una veloce occhiata ad una macchia lontana di alberi, che chissà quante persone scorgono, come me, andando al lavoro e di cui presto si dimenticano.

Vivere i luoghi che ci circondano sembra avere poco a che fare con il lavoro, la formazione, lo storytelling, ma se non siamo capaci di essere presenti in uno spazio, di fare esperienza di un territorio come possiamo poi comunicarlo a qualcuno. Bisogna fare propria la vita per poterla raccontare. Lo chiamano storydoing ma come sempre, credo sia solo buon senso, non inteso come ragione quanto come apertura.

La macchia lontana è il Bosco delle Lame, poco distante da Concordia Sagittaria e da Caorle, un’area boschiva recente che ricorda però quelle che un tempo ricoprivano la pianura padana. Quest’area naturalistica è casa per decine di uccelli stabili o migratori, è uno spazio di benessere.

Mi ci sono addentrato lo scorso anno per poi raccontarla sul sito di bibione.com. Pur nelle difficoltà del mio lavoro, dove la sostenibilità economica non è mai garantita, dove le belle cose che racconto o che ci raccontiamo tra colleghi si scontrano con la sordità inconsapevole del mondo fuori dagli schermi e con quella consapevole di strategie assenti o sbagliate, ringrazio sempre di poter conoscere luoghi come questi, apparentemente banali ma invece ricchi di piccoli beni preziosi: quiete, biodiversità, bellezza.

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Fermarsi, lasciarsi andare e ringraziare

Sono luoghi reali che non chiedono di inventarsi nulla, che Comuni, Consorzi e singoli possono condividere per vendere qualcosa di più  e forse di meglio, che la solita vacanza, minacciata dalla precarietà di ogni cosa: clima, economia, sicurezza…Nell’incertezza della vita io credo ci sia la possibilità di ancorarsi a qualcosa, la capacità di stabilire armonie, di sostenerle e di raccontarle.

Lo storydoing, il fare le storie, è anche questo, dare spazio a quello che c’è sempre stato, la natura in questo caso, e farla propria. Perché se facciamo nostro un luogo il racconto sgorga naturale come una fonte viva, non stiamo vedendo, non stiamo attirando nelle nostra rete un piccolo pesce, il cliente, ma stiamo semplicemente parlando di quello che c’è, perché lo consideriamo importante, prima di tutto per noi stessi.

Se storytelling è diventato quasi sinonimo di raccontare favole – le favole, quelle vere, hanno in verità un valore fondamentale per la nostra crescita -, lo storydoing è un racconto che fa partecipare le persone, che le porta a schierarsi.

Un bosco, tra la campagna e la laguna, la casa di querce e aironi, può diventare qualcosa di più di una macchia nel finestrino di uno stressato uomo d’Occidente, ma può trasformarsi in un giardino naturale da conservare e rendere vivo, a patto che iniziamo a diventarne parte.

Non dobbiamo arrampicarci sugli specchi per vendere le solite vecchie cose che si vendono dagli anni ’60, come le spiagge dell’alto Adriatico, non dobbiamo nemmeno inventare ogni anno nuove parole inglesi. Non importa se lo chiami storydoing, storytelling, comunicazione emozionale, a me importa che ti guardi attorno e che tu riesca a capire quanta bellezza esiste. Se la comprendi la potrai anche trasmettere, senza perderti nei meandri dei tecnicismi che a volte ci allontanano sempre di più dal cuore delle cose.