…quando assecondiamo il bisogno di fermarci, conoscere e ritrovare le radici del nostro tempo, scopriamo con meraviglia che proprio in alcuni luoghi della nostra regione sono accaduti avvenimenti che hanno fatto cambiare il corso della storia e lo sguardo sull’esistenza.

Un territorio può essere scoperto con i sensi attenti al cibo, alla qualità dei suoi artigiani, alla bellezza delle montagne o dei mari o può essere conosciuto, grattando un po’ la superficie, per leggere tra le righe quello che rimane fissato sulla carta. Pordenonelegge il territorio è un modo nuovo di viaggiare, attento alla poesia che emana dai luoghi, agli scrittori che hanno raccontato i borghi attraverso cui delle volte ci limitiamo a passare.

Nei viaggi non si viaggia e basta, ci sono motivazioni profonde che ci spingono a fare dei piccoli e grandi sacrifici, economici, di tempo e soprattutto di volontà. Investiamo risorse personali e umanissime per andare in cerca di vini pregiati da degustare, di scogliere sotto cui nuotare, di quadri da osservare in silenzio ma anche di poesie che nascono sempre da un luogo, perché lì ha camminato quel poeta, perché la terra e il cielo di quel momento si sono uniti, entrando nel cuore e poi nella mente di una persona che cercava di parlare al mondo e del mondo con le parole.

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Suggestioni nella nebbia. Una vecchia casa friulana ristrutturata ospita le cantine Nonino

Pordenonelegge il territorio è allora una delle nuove forme di turismo che rispondono alle esigenze di chi legge viaggiando. Di Pordenonelegge non serve nemmeno parlare perché ormai questo festival letterario è conosciuto ovunque, diventando esso stesso un motivo di viaggio verso il Friuli-Venezia Giulia. L’idea innovativa è che però non bastano quelle giornate di settembre ma che la fiamma della letteratura vada alimentata nel corso dell’anno con alcune escursioni, dove la scusa del viaggio si collega alla passione per la cultura.

Non serve andare sempre nelle grandi città, capitali dell’arte. I piccoli borghi delle campagne che sembrano non avere nome nascondono tra i fossati e i filari di uva sofferenze ed illuminazioni, che sono diventate opere riconosciute in tutto il mondo.

Chi mai potrebbe pensare che la campagna friulana, avvolta nella nebbia di inizio febbraio, possa aver dato vita a delle poesie che vengono tradotte in moltissime lingue del mondo e vengono ristampate da più di cento anni? M’illumino d’immenso, uno dei versi che ha contribuito a cambiare radicalmente la poesia del ‘900 non nasce a Parigi o New York ma a Santa Maria la Longa, tra alberi di gelso, resti della coltivazione secolare dei bachi da seta, e vecchie case coloniche.

Un piccolo paese, un’intera terra ai margini del turismo di massa, ritorna ad essere il centro della storia, com’era un secolo fa, quando qui vicino correva il fronte della Grande Guerra.

Questa edizione di Pordenonelegge il territorio, segue la traccia dei versi e di quel conflitto che segnò questi luoghi ma anche la sensibilità di Giuseppe Ungaretti, poeta che con le sue parole fu uno dei rappresentanti delle avanguardie artistiche, quelle dei Futuristi, di Picasso, di Kandinsky, di quel mondo dove si mescolavano la psicoanalisi di Freud e la nuova fisica di Einstein, una società in grande e doloroso cambiamento. È lo storico Alessandro Marzo Magno a illuminare questa storia dentro la storia, troppo presto letta e dimenticata a scuola.

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Alessandro Marzo Magno ci guida nella storia di Ungaretti e della guerra

Furono miliardi le parole, attraverso lettere e diari quotidiani, scritte in queste zone di confine da migliaia di soldati italiani, ungheresi, tedeschi, austriaci e di infinite nazionalità, mescolate e spinte le une contro le altre dalla Prima Guerra Mondiale. Parole che nascono dalla quotidianità alterata della guerra senza fine di trincea, dove per sopravvivere serviva la forza dei legami domestici e a volte quella indotta dalla grappa.

Il liquido di fuoco che placava l’ansia e dava coraggio ora è sublimato, da droga dei soldati e dei poveri, è diventata liquore prezioso che ha superato questi confini.

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Nel laboratorio degli alchimisti. Distillerie Nonino

Come il dolore senza nome della guerra è diventato poesia, così il distillato degli scarti della vite è riuscito a trasformarsi in bevanda ricercata. Vicino al paese dov’è stata composta la poesia Mattina di Ungaretti, si trova la distilleria della Grappa Nonino.

Anche di questa azienda non servirebbe dire nulla, perché i suoi prodotti e il suo impegno a favore della cultura hanno una fama decennale. Se ora la grappa viene servita in hotel e ristoranti di lusso, se il suo sapore riempie il naso e la bocca dei profumi delle uve e non più dell’acido che serve solo a stordire la mente, lo si deve a questa famiglia di innovatori. Pordenonelegge il territorio rende il suo tributo a questa piccola e grande realtà friulana, ascoltando un’altra poesia, quella della distillazione, processo antico e mistico, dove gli scarti, le vinacce, diventano essenze pure, come l’alchimia cercava di trasformare il piombo in oro. Non a caso, il simbolo della Nonino, è quello del pianeta Mercurio, legato proprio agli alchimisti.

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La grappa è in fondo figlia dell’alchimia

E se ogni cosa, anche gli scarti, possono diventare nettare, lo dobbiamo all’arte che trasforma, in un processo alchemico, la sofferenza del vivere in bellezza. E se Giuseppe Ungaretti è capace ancora di stupire, è proprio per questa capacità che nemmeno le guerre più brutali riescono a sopprimere.

Il Carso, terra bagnata dal sangue di centinaia di migliaia di uomini e donne, può allora diventare qualcosa di più di un teatro di guerra ma un palcoscenico dove cantare un’altra storia, eterna, dell’individuo che opera la distillazione del male e lo trasforma in un bene alla portata di tutti.

Su questi colli, oggi ricoperti di arbusti ma anche di ulivi e vigneti, ecco allora apparire un parco che celebra la poesia. Parco Ungaretti è l’ultima tappa di questo piccolo viaggio di Pordenonelegge il territorio, un luogo simbolico, perché fatto dei richiami alle poesie de “Il porto sepolto“, pubblicato a Udine nel 1916, perché fatto di opere d’arte che esprimono l’invito, sempre odierno, a non vivere solo dei ricordi delle tragedie ma soprattutto della spinta a superarli, facendoli propri, per non ripeterli.

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Segni e parole, graffiti di soldati. Villa del Parco Ungaretti

Ritorno verso casa, grato anche questa volta della possibilità di aver incontrato un’altra parte della mia regione, che mi sembra di conoscere sempre meno, mano a mano che la scopro. Ritorno colpito ma non sopraffatto, dalle tragedie che hanno scavato la mia terra, ma da cui la vita è sempre riuscita a riemergere, grazie alla poesia delle parole e del fare. Una gita può essere allora di più di un monito, ma uno stimolo, per distillare la morte e farne vita.

 

Foto di copertina: Fronte dell’Isonzo, Monte San Michele (Sagrado), di Johan Sandin, fonte Wikimedia, licenza Creative Commons 3.0